Il packaging nel settore agro-alimentare.

Gli imballaggi, le confezioni, i contenitori e tutto ciò che può essere definito packaging impatta enormemente l’ecosistema in quanto molto spesso costituito da materiale scarsamente riciclabile responsabile di circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici prodotti ogni anno. Un’altra grossa problematica è legata anche alla confusione che ancora si crea tra “biodegradabile” e “compostabile”, molto spesso ritenuti sinonimi. In conformità con la norma UNI-EN 13432:2002 si definisce “biodegradabile” il materiale la cui biomassa viene degradata dall’azione chimica o enzimatica di microrganismi, al 90% entro 9 mesi; “compostabile” è ciò che si degrada in materia organica (acqua, anidride carbonica) e sali entro 3 mesi; appare quindi evidente la necessità di sostituire i materiali attualmente impiegati per il packaging con altri più ecosostenibili.

Per soddisfare questa esigenza, risulta vantaggioso l’utilizzo di “biopolimeri” ovvero molecole che derivano da fonti rinnovabili che presentano proprietà filmogene, capaci quindi di creare una pellicola.

Essi si dividono in 3 classi principali:

  • di origine sintetica;
  • di origine batterica;
  • polisaccaridi, proteine e lipidi.

I biopolimeri possono essere utilizzati nel food packaging come coating o film, in base alla modalità di applicazione: nel primo caso il biopolimero viene applicato direttamente sull’alimento tramite sprayzzazione, confettatura o dipping, nel secondo caso invece il film viene prodotto separatamente e applicato in un secondo momento all’alimento. E’ necessario chiarire che ciascuno di essi non è da considerarsi sempre edibile ma è necessario il parere della Food and Drug Administration (FDA) che, se favorevole, inserirà la molecola tra quelle elencate tra le GRAS (generally recognized as safe).  

Fonti:

  • FoodHub – Viaggio nella Packaging Valley